Sono pieno di input. Da Mark Lanegan alla barba che ho tagliato da qualche ora. E amici, cantanti, conoscenti e facinorosi. Cinici. La sera rimane un bel momento della giornata, anche se l’ora di luce serve più dopo che prima. Genova mi fa venire in mente la parola sicurezza. Quella che nel 2001 è venuta meno, quella che da un colore vuole essere rappresentata, quella che ci propinano dall’alto, quella che fa fare plastici e proclami, quella che rende le persone almeno dignitose, almeno per qualche minuto, almeno agli occhi celati. Che siate stramaledetti, voi e la vostra ignoranza da centro commerciale, voi e la vostra sicurezza da undici settembre, le vostre felpe toponimiche, le vostre bandiere tricolori, le frasi fatte e quelle da fare, il Capodanno e i mercatini di Natale. Che siate stramaledetti insieme alle vostre scuole di politica, alle vostre aspirazioni, ai vostri tifi da stadio, alle vostre motoseghe facili e alle vostre seghe incompiute, ai vostri mi piace e agli autoscatti, e ai vostri cazzo di confini. Non ci meritiamo niente, perché anche niente sarebbe eccessivo. Genova ti mette in soggezione e ti accoglie, nonostante le opere inutili e i fiumi dirottati. Genova è bella come la ragazza delle medie, è elegante come sua madre. Genova è (in)consapevole e grande come poche. Genova è fantastica. Tutto il resto l’ha già detto De Andrè.
Canon Eos 1n + Fuji Superia X-TRA 400
Gran Galà di Capodanno alla Punta Oilletta, trentun dicembre 2015. Génepy, pellicola e un presagio d’inverno.
Oppure la rivincita della Mju. Persa, dozzine di giorni fa in uno squallido locale di un’incompiuta cittadina, ricomprata poi dal buon amico Matteo per poche lire e caricata di 36 pose per questa prima uscita informale al Bivacco Regondi, insieme a Rolli e quattro tedeschi incontrati lassù. Poche parole e tanti silenzi, desiderati. E poi questi scherzi dell’iridescenza, che alla temporanea perfezione del digitale ci fanno un baffo, ma un baffo importante, tipo quelli di Salvador. Ho messo anche quelle fotografie in questo “articolo”, perchè chi ha occhi possa accorgersi dell’imperfezione della perfezione, scusate la replica. Comunque la Mju è una macchina fotografica e queste fotografie, perdonate la pretesa, vorrei dedicarle alla fragilità dell’uomo, che possa ricordarsi sempre di quel nove ottobre 1963, di quello stupro ostentato e di quella memoria troppo spesso dimenticata. E alla bellezza delle pellicola, che mi coglie sempre impreparato. E anche un pò a Nick, Let Love In, mofos!
La frase qui sotto è dei Titor, che sono un gruppo della madonna in un paese di madonne che poco hanno a che fare con la Vergine e il suo primo valore. Spesso sono celebrate, pregate, esclamate. Parlano dalle loro campane di vetro e dai loro altarini, parlano di un cazzo di niente ma parlano, anzi, hashtaggano tutto, anche gli acari sopravvissuti alle pulizie di primavera. Poverine. Cercano il senso ma non servono metri quadrati di vetro per guardare meglio fuori. Allontanatevi.




